Magda Ronzino, Tra letteratura e musica - Giacomo Leopardi tra musica e musicalità




Tra letteratura e musica
 RESOCONTO DI UN’ESPERIENZA
 Idee per un percorso multidisciplinare a scuola


 di Magda Ronzino 
Liceo Classico, Scienze Umane e Musicale “A. Casardi” di Barletta 



1. Nascita di un progetto. L’idea di realizzare e socializzare un’esperienza didattica nasce all’esigenza di rinnovare impostazioni tradizionali adeguandole agli stili apprenditivi dei nuovi giovani, ovvero di questa generazione di alunni abituata ad un approccio globale alle varie sfumature della realtà, capace di forte trasversalità e collegamento orizzontale fra i saperi e, soprattutto, ben disposta ad essere il fulcro operativo dell’azione didattica stessa. L’obiettivo è quello fin troppo chiaro di avvicinare i giovani ad un colloquio diretto e personale con testi d’autore, capolavori della letteratura italiana e mondiale, che rischiano di essere letti stancamente dai più, nella migliore delle ipotesi, come un atto dovuto e coercitivo, senza magari sospettare quante risposte potrebbero con grande stupore, invece, trovarvi. 
L’esperienza di cui parleremo si inserisce in questo tracciato e propone un’unità didattica di apprendimento sperimentale (U.d.A.) in una classe quinta di scuola secondaria di II grado. Poche ore all’interno di un percorso modulare più ampio (“Incontro con l’autore”) in cui si è cercato di portare avanti in parallelo riflessioni multidisciplinari non estemporanee relative a letteratura e musica. Senza dubbio, la scelta è stata facilitata dal fatto che la classe in questione è una quinta Liceo Musicale e dunque, spontaneamente, le ragazze e i ragazzi hanno aderito avanzando loro stessi idee e proposte competenti e a tratti illuminanti, arricchendo così di molto l’impostazione talvolta rigida di alcuni manuali di testo, ma soprattutto vivificando il consueto approccio allo studio. 

Ma andiamo con ordine: innanzitutto, perché la scelta della multidisciplinarietà. La specializzazione del sapere odierno - e dunque, specularmente, la rigida divisione tra discipline nella scuola - offre indiscussi vantaggi in termini di approfondimenti in verticale e conoscenze tecniche, ma potrebbe innegabilmente contribuire a far perdere quella capacità di comprensione globale della realtà che solo un’ottica multidisciplinare in qualche modo salvaguarda e consolida e con cui – a conti fatti – tutti siamo chiamati a confrontarci nella quotidianità. Ed ecco, allora, che ritorna viva e vincente più che mai l’idea di una scuola non avulsa dal contesto e dalle esigenze reali, che insegni a ragionare e a procedere anche molto astrattamente - nella convinzione che i saperi cosiddetti astratti contribuiscano alla formazione del pensiero forte più di altri -, ma che poi sappia tradurre quegli stessi saperi astratti in abilità competenti a interpretare e plasmare il vissuto quotidiano.


 2. Strategie didattiche iniziali. Di conseguenza, il primo passo è stato di tipo motivante - ma su questo, come già spiegato, non si è dovuta fare gran fatica - e soprattutto di tipo coinvolgente, nel senso che, in un’ottica di didattica ribaltata o capovolta, sono stati gli alunni a partorire idee, possibili percorsi e strutturazione degli stessi grazie alla strategia del brainstorming, in cui la funzione della docente è stata quella di “provocare” tacitamente il risveglio di pensieri, interessi e curiosità e offrire un canale espressivo per dare loro una forma. Si conferma, dunque, un passaggio imprescindibile partire in ogni azione didattica dalla conoscenza dei bisogni formativi e soprattutto dagli interessi reali degli allievi. 


3. Contenuti specifici. Il tema scelto è stato “Giacomo Leopardi tra musica e musicalità” su cui si è realizzata una didattica “a reticolo” tra letteratura e coeva produzione musicale in stretta collaborazione coi docenti delle altre discipline coinvolte. 
Primo fra tutti è stato approfondito dai ragazzi il legame profondo con l’arte di Fryderyk Chopin (1810-1849) - per quanto il poeta privilegiasse le composizioni di Gioacchino Rossini (1792-1868), come ci fa sapere egli stesso, e avesse grande vicinanza di pensiero con un’altra ben nota personalità musicale del momento, Robert Schumann (1820-1856). Contestualmente, sono stati indagati gli effetti fonici dei versi leopardiani che, per la loro ben nota indeterminatezza, rappresentano un’originale partitura musicale, con pause e sospensioni della parola che valgono il più delle volte e a tutti gli effetti come autentiche battute musicali. Il lavoro prodotto non ha avuto alcuna pretesa di esaustività - essendo stato in buona parte realizzato dagli alunni e per gli alunni -, né è stato scelto un approccio troppo teorico, che si sarebbe ben allontanato dagli obiettivi e dal modus operandi tipico della scuola. 


4. Ancora strategie didattiche e centralità dei testi. Una volta, dunque, concordati il tema e le modalità operative, i ragazzi, divisi in gruppi (nella modalità del cooperative learning formale, preferito in questo caso a quello informale per garantire maggiore stabilità organizzativa), hanno innanzitutto effettuato una ricerca multimediale sui riferimenti alla musica presenti in quello che fu un autentico laboratorio poetico ovvero lo “Zibaldone”, il testo più consultato in questa fase, soprattutto per quanto riguarda i pensieri compresi tra la primavera e l’autunno del 1821 e l’estate e l’autunno del 1823. Hanno inoltre ricostruito la biografia dell’autore mettendo in evidenza ogni contatto che il poeta recanatese ebbe con la musica sin dall’infanzia, in cui amatissimo fu proprio il suono, cercato poi in ogni fase della sua vita, anche dopo il “gran disastro” avvenuto proprio alla fine della sua infanzia con il crollo delle illusioni giovanili. I risultati non potevano che essere sconcertanti per numero e intensità del contenuto. Colpisce da subito la grande considerazione che egli ebbe della musica e il confronto con tutte le altre arti che, secondo Leopardi, “imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento”, mentre solo la musica “non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch’ella trae da se stessa e non dalla natura” (Zibalbone, 79): nessuna mediazione, insomma, tra musica e animo umano. Piuttosto, un rapporto privilegiato con la prima che, capace di giungere direttamente al centro dell’uomo e delle sue facoltà, svolge un ruolo vivificante e - per così dire - energetico, compensatore di finitezze e fallimenti continui, contribuendo ad alimentare quel forte attaccamento alla vita e quella profonda aspirazione all’assoluto che connotarono intensamente l’essenza del poeta. “Chi teme, canta” (Zib., 3527): parole icastiche che, pure, hanno generato una lunga riflessione tra i ragazzi, colpiti dalla straordinaria modernità insita in questa affermazione. Una ricerca incrociata con la biografia del recanatese ha dimostrato che tale pensiero risale alla fine del 1823 (26-27 settembre), di poco successivo, dunque, all’esperienza tanto agognata ma di fatto inefficace del viaggio di sei mesi a Roma presso gli zii Antici. Una delusione cocente, a tratti disperata, parzialmente consolata attraverso un “canto” poetico liberatorio e rassicurante, spesso solitario, tuttavia l’unico capace di trasmettere “una meravigliosa forza sull’animo”. Legame tra suono e parola, tra musica e verso che i ragazzi colgono immediatamente, a partire dalla riflessione sul titolo scelto per tutta la raccolta delle sue principali liriche, ossia i Canti, che in maniera più esplicita contiene il rimando a tale indissolubile legame. 

5. Effetti inattesi. Difficile, a questo punto, che anche l’alunno più introverso non intervenga a raccontare la propria esperienza, e nel farlo, inconsapevolmente ma anche straordinariamente, ponga se stesso a paragone con l’io leopardiano, non più così distante o astratto, quest’ultimo, né nel tempo né nello spazio: “potenza” di una didattica rinnovata che attualizza i contenuti appresi, che sposta il centro dell’attenzione sul testo e sul lettore, che intende individualizzare i grandi messaggi del passato, senza mai tralasciare lo studio fedele e oggettivo del pensiero originario dell’autore, ma che a ciò aggiunge un contributo unico, personale, destinato a rimanere nella memoria di ciascuno ragazzo. L’attività così svolta si basa sul role playing, una delle poche strategie didattiche che, nonostante i tempi decisamente non brevi di esecuzione, consente l’attivazione forte di meccanismi empatici, di immedesimazione, di dislocazione dei punti di vista e di comprensione delle posizioni altrui. Il coinvolgimento emotivo è infatti notevole e costituisce di solito il principale movente per un effettivo apprendimento personalizzato. 

6. Biografia “competente”: riflessioni. Lo studio della biografia del poeta può, dunque, essere “ragionato” in classe ed essere condotto per verificare quanto - per esempio - la musica fosse praticata in casa Leopardi. I libri di testo allora vengono integrati (e in parte sostituiti) con il frutto delle ricerche dei singoli gruppi di allievi. Con sorpresa e piacere emerge che un po’ tutti i membri della famiglia si interessavano alla musica, perfino il conte Monaldo che ebbe l’indiscusso e arguto merito della continua implementazione della biblioteca di famiglia, ma che di fatto non si smentì mai come reazionario ed opprimente controllore dei figli, di Giacomo in particolare. Eppure, dalla ricerca risulta che anch’egli amava parlare di musica (specie se sacra) ed ebbe il grande merito di fondare a Recanati un nuovo e ancora attuale teatro (“Persiani”). Per non parlare del fratello Luigi, morto a soli ventiquattro anni, buon suonatore di flauto ed avido “ricercatore” di nuovi spartiti e partiture su cui esibirsi. Poi c’era l’altro fratello, Carlo, grande appassionato dell’Opera e desideroso di procurarsi un pianoforte “perché la casa ne era sprovvista”, come scrisse in una lettera a Giacomo il 26 gennaio 1823. Anche la sorella Paolina, amatissima da Giacomo, si intendeva di musica: dalle ricerche online condotte emerge che tradusse una biografia di Mozart, si occupava di articoli di argomento musicale per il giornale fondato e diretto dal padre Monaldo “La voce della ragione” ed usava informare spesso nelle sue lettere il fratello Giacomo - gran frequentatore di spettacoli teatrali - circa le manifestazioni che si svolgevano a Recanati e dintorni. “La musica se non è la mia prima, è certo una mia gran passione, e dev’esserlo di tutte le anime capaci di entusiasmo”, scriveva Leopardi in una lettera a Paolo Brighenti il 28 aprile 1820. Rendere operativi gli alunni nella ricerca di dati che inseriscano la figura dell’artista nel contesto familiare quotidiano e arricchirne la biografia in maniera ragionata con riferimenti utili alla ricostruzione, in questo caso, dell’interessamento per la musica sin dalla più tenera età, spinge davvero gli alunni ad avvertirlo meno distante dal loro tempo, forse più vivo e “umano”, con grande vantaggio per l’apprendimento in generale. E’ un’esperienza fattibile che può essere proposta in sostituzione dell’arida memorizzazione delle stanche e spesso parziali biografie presenti sui libri di testo, anche del triennio. 7. Il percorso si costruisce da sé. E ancora scriveva nell’ottobre del 1821 “Dico che l’effetto della musica spetta principalmente al suono. Voglio intender questo. Il suono (o canto) senz’armonia e melodia non ha forza bastante né durevole anzi non altro che momentanea sull’animo umano. Ma viceversa l’armonia o melodia senza il suono o canto, e senza quel tal suono che possa esser musicale, non fa nessun effetto... Ma io attribuisco l’effetto principale al suono perch’esso è propriamente quella sensazione a cui la natura ha dato quella miracolosa forza sull’animo umano…; e sebbene egli ha bisogno dell’armonia, nondimeno al primo istante, il puro suono basta ad aprire e scuotere l’animo umano (Zib., 1935). Il giovane Leopardi riteneva, inoltre, secondo una concezione impossibile non definire modernissima, che “l’effetto naturale…della musica in noi…deriva dal suono, il quale ci elettrizza [la sottolineatura è nostra] e scuote al primo tocco quando anche sia monotono”. L’esperienza della lettura della notissima lirica “L’infinito” si inserisce allora a questo punto, ad alta voce, in classe. Attesissima e preparata da una serie di meditate anticipazioni già dalle lezioni precedenti. Si abbassano le luci, i ragazzi provano a socchiudere gli occhi e a lasciarsi trascinare dal suono di quei versi così intimamente musicali. Innanzitutto per il richiamo già dal terzo verso alla “voce” del vento che, comparato a “quello infinito silenzio” fa sovvenir “l’eterno”, stimolando così la percezione dell’assoluto. Non più solo da parte del poeta, ormai. Attraverso la strategia didattica dello scaffolding i ragazzi costruiscono in progressiva e responsabile autonomia un’analisi il più possibile dettagliata dei richiami al senso dell’udito, più numerosi rispetto a quelli della vista, con immagini, dunque, eminentemente sonore come i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quiete”, l’“odo stormir tra queste piante”, “a questa voce vo comparando” e “il suon di lei”. L’analisi delle figure retoriche, poche, selezionate e meditate, porta nella stessa direzione. I ragazzi procedono ad un vero e proprio “screening” che permette loro di osservare che tra le più amate da Leopardi ci sono enjambement ed iperbati, di solito adoperati in poesia con funzioni opposte, qui, invece, mescolati come per creare un effetto complessivo molto musicale, di vivissimo movimento, di rapido cammino, quasi di sbalzo forte e continuo verso la fine del discorso che contiene l’approdo ad una infinità prevalentemente sonora a lungo attesa e desiderata. Gli enjambement, infatti, collegano in un tutt’uno parole appartenenti a versi in successione; gli iperbati dissociano e invertono i pensieri dal loro ordine naturale. Vengono tutti registrati con ordine sui quaderni e di ognuno si tenta di fornire una spiegazione non solo tecnica ma prevalentemente contenutistica: il risultato è una continua conferma del ritmo e della musicalità che precede e sottende ogni parola, una sorta di “paesaggio sonoro” o soundscape che esiste già prima della parola leopardiana e che poi con essa si fonde con magistrale abilità in un tutt’uno indissolubile. Di seguito, si procede rapidamente ad individuare tutte le altre figure retoriche e ad analizzare persino gli iati presenti nel testo (a partire da “quello Infinito”, vv. 9-10), considerati anch’essi dalla critica “momenti di silenzio inclusi nel ritmo”. 

8. Idee per applicazioni pratiche. I richiami espliciti alla musica possono poi continuare, ben oltre lo “Zibaldone” o il notissimo “Infinito”. Un lavoro interessante può essere, a questo punto, ricercare e raccogliere in un database o portfolio digitale, facilmente consultabile anche in seguito, quanti più riferimenti espliciti al suono e alla musica presenti nell’opera leopardiana. In questa attività a ciascun discente, anche ragazzi provenienti da situazioni traumatiche, viene lasciato il modo per esprimere attivamente le facoltà e - soprattutto - le proprie potenzialità nei giusti tempi, in cui il docente si “decentra” (è la terza fase della strategia didattica dello scaffolding, detta fading o appunto “dissolvenza”), favorendo così la dinamizzazione dell’apprendimento significativo. Un sintetico esempio dei risultati conseguiti è il seguente: “Ed io timido e cheto ed inesperto, / ver lo balcone al buio protendea / l’orecchio avido e l’occhio indarno aperto, / la voce ad ascoltar…” (Il primo amore, vv. 43- 46); “ed alla tarda notte / un canto che s’udia per li sentieri / lontanando morire a poco a poco…” (La sera del dì di festa, vv. 43-44); “e di fanciulla / che all’opre di sua man la notte aggiunge / odo sonar nelle romite stanze / l’arguto canto…” (La vita solitaria, vv. 63-66); “Sonavan le quiete / stanze, e le vie d’intorno, / al tuo perpetuo canto…” (A Silvia, vv. 7-9); “D’in su i veroni del paterno ostello / porgea gli orecchi al suon della tua voce, / ed alla man veloce / che percorrea la faticosa tela” (A Silvia, vv. 19-22); “Ed erra l’armonia per questa valle…” (Il passero solitario, v. 4); “Odi per lo sereno un suon di squilla, / odi spesso un tonar di ferree canne, / che rimbomba lontan di villa in villa.” (Il passero solitario, vv. 29-31); “Viene il vento recando il suon dell’ora / dalla torre del borgo. Era conforto / questo suon, mi rimembra, alle mie notti…” (Le ricordanze, vv. 50-52); “Tacque: né molto andò, che a lui col suono / mancò lo spirto” (Consalvo, vv. 149- 150); “cantando, con questa melodia, / l’estremo albor della fuggente luce” (Il tramonto della luna, vv. 16-17); “Per ogni diletto e ogni contentezza che hanno, (gli uccelli) cantano, e quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare” (Operette morali, Elogio degli uccelli); “…certo fu notabile provvedimento della natura l’assegnare a un medesimo genere di animali il canto e il volo; in guisa che quelli che avevano a ricreare gli altri viventi colla voce, fossero per l’ordinario in luogo alto; donde ella si spandesse all’intorno per maggiore spazio, e pervenisse a maggior numero di uditori.” (Op. mor., Elogio degli uccelli). 

9. Proposte di lettura. La ricerca testuale non è certo conclusa, ma ha dimostrato con chiarezza quanto il suono e la musica più in generale costituiscano per Leopardi un’importante e vitalissima eccezione alla sua visione pessimistica e materialistica. Ben nota è infatti la definizione di natura come “perpetuo circuito di produzione e distruzione” espressa nel maggio del 1824 nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”, contemporaneo all’Elogio degli uccelli, la più lieta delle sue “Operette morali” scritta tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno. In essa l’idea del mondo pare decisamente ribaltata: c’è un’esplosione di letizia, che prende il posto della vana attesa di una felicità che tarda a venire, momento dopo momento. Questa volta coincide col presente e si esprime in una prosa ricca di movimento e grazia in cui, nelle ultime righe, Leopardi si augura anche solo “per un poco di tempo, di essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita”. Strana ma significativa coincidenza di date, dunque, che spesso sfugge anche ai più illustri manuali scolastici, quasi tutti concentrati nel riproporre con piccole varianti stessi testi, tutti nello stesso ordine, e stessi commenti: da anni un tracciato unico, da cui sono categoricamente esclusi altri passi non meno fondamentali, proprio come questo Elogio degli uccelli - solo per citarne uno: è il cosiddetto “canone”, da cui è oggettivamente difficile scostarsi se non a costo di una lunga ricerca parallela di testi in fotocopia che spesso porta a sfinimento anche l’alunno più preciso e scrupoloso, ma che meriterebbe un’ampia e più partecipata discussione tra gli addetti ai lavori del mondo della scuola. Un’osservazione molto simile può infatti essere fatta per un altro testo pressoché sconosciuto, “Il canto della fanciulla” (di cui si ripropone qualche verso), composto probabilmente a Pisa nell’aprile del 1828, coevo, questa volta, della ben più nota e amarissima “A Silvia”: “Canto di verginella, assiduo canto, che da chiuso ricetto errando vieni per le quiete vie, come sì tristo suoni agli orecchi miei? perché mi stringi sì forte il cor, che a lagrimar m’induci? E pur lieto sei tu, voce festiva de la speranza: ogni tua nota il tempo aspettato risuona…” Ancora coincidenze cronologiche di stesura con esiti del tutto opposti che, se opportunamente indagate, potrebbero rafforzare l’idea di una irresistibile forza nell’uomo Leopardi e un attaccamento vigoroso alla vita più di ogni altra cosa e nonostante ogni cosa. Forse anche una sorta di “leggerezza” in lui, ben evidente nella musicalità sottesa ad ogni verso, che, insita e comunque in lotta con la sua gravità, come direbbe Italo Calvino, non significò certo per il poeta distacco o superficialità, ma, forse solo disperatamente evitare che le cose cadessero addosso come macigni, reagendo così al peso di vivere. Nulla di più straordinariamente attuale, che i ragazzi non fanno fatica alcuna a seguire, e capire, e interiorizzare. 

10. Sperimentazioni multidisciplinari. Sperimentare percorsi così innovativi ed “elastici”, plasmati sapientemente sulla fisionomia della classe, porta ad esiti inattesi, dicevamo. Fra questi, la proposta finale di accompagnare alcuni fra i testi più noti del recanatese, sia nel senso della recitazione con accompagnamento musicale e sia come possibile “canto” delle liriche stesse. Operazione solo in apparenza semplice o banale; al contrario, ardita e complessa, che è costata lezioni intere a confrontare, grazie all’ausilio delle TIC in classe, partiture musicali con lunghezza di versi e cesure varie delle poesie studiate. Il momento più originale e significativo è stato scoprire l’efficacia di accostamenti originali e inconsueti, non solo tra tali testi e brani tratti dai “Notturni” o dai “Preludi” di Chopin, ma anche con basi musicali più recenti o addirittura contemporanee. Tutte selezionate con grande raffinatezza e perizia non solo per l’affinità con pause e lunghezze metriche - come già spiegato -, ma anche in base al ritmo, rispettoso della grave pensosità leopardiana e al tempo stesso capace di improvvisi slanci, intensi e vigorosi, verso l’infinito. Sono così emerse, grazie alle intuizioni dei ragazzi, straordinarie coincidenze ritmiche tra le strofe del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” e la nostalgica e intensissima “One day / Reckoning song”, rigorosamente nella versione con pianoforte del cantante israeliano Asaf Avidan, in cui il suono solitario e prevalente dello strumento pare riprodurre alla perfezione il canto malinconico e pure vitale del pastore alla ricerca di risposte ai suoi interrogativi. Incredibili accostamenti, motivati dal fatto che per il poeta la lirica sarebbe stata tanto più perfetta quanto più fosse stata vicina alla musica, notati anche tra “L’infinito” e la versione più lenta e strumentale di “The house of the rising sun”, canzone cult degli anni ’60. In essa il vertiginoso aumento di ritmo nella parte centrale ben esprime il positivo senso di smarrimento dell’uomo di fronte all’esperienza dell’assoluto, appena sfiorato e già in grado di “far annegare il pensier”, proprio come diceva Leopardi. E infine, tra la musicalità dura e martellante del dolorosissimo “A se stesso”, il testo dell’abbandono definitivo da parte di Leopardi di ogni forma di lotta per la felicità, e “The fosse” per pianoforte e archi di Wim Mertens, in cui la voce recitante, quasi persa e mozzata, riesce comunque a gridare un dolore straordinariamente energico perché perfettamente musicabile. 

11. Conclusioni. Ci siamo fermati qui, in classe. Avremmo potuto osare oltre, ma il tempo non sarebbe stato sufficiente. È bastato, e a sufficienza questa volta, a far capire ai ragazzi e, non meno, agli adulti che - grazie a esperienze come questa - per arrivare all’infinito, tutto sommato, non è necessario chiudere gli occhi e sognare. Basta sapientemente guardarsi attorno. 



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Riferimenti bibliografici 
Materiale di consultazione:
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Sitografia su Leopardi e la musica: https://rebstein.wordpress.com/2014/04/02/leopardi-e-la-musica/

http://www.centrostudileopardiani.it/pdf/guarracino%20leopardi%20e%20la%20musica.pdf

https://www.clune.com/webpages/1303381518332086/la_musica_e_la_mente_umana/italiano.html

http://www.agiati.it/UploadDocs/5276_art_02_cagnoli.pdf