Fuori canone. Antidoto alla malinconia nella scuola (Magda Ronzino ed Enza Fiore, Barletta)

FUORI CANONE

ANTIDOTO ALLA MALINCONIA NELLA SCUOLA


di Magda Ronzino ed Enza Fiore



Quando abbiamo deciso di lasciare una qualche traccia delle nostre esperienze e riflessioni sul percorso sperimentale compiuto all’interno del progetto Compìta, ci è parso fin troppo scontato parlare di didattica per competenze partendo da qualche riflessione sui radicali cambiamenti in atto nella società da poco più di un decennio ad oggi - anno più anno meno -. 
Però, a ben vedere, tutto è cominciato proprio da lì. Su cause e processi della cosiddetta “rivoluzione multimediale” sono stati versati da illustri sociologi e psicologi fiumi di parole, ai quali non possiamo che rimandare con umiltà e ammirazione. Ma la ‘staffetta’, diciamo così, è poi passata subito - attraverso l’ineludibile passaggio della famiglia - alla scuola e, nello specifico, a chi la scuola la vive, la “sente” e la “fa” con orgoglio quotidianamente. L’approccio alla conoscenza garantito dai diversi strumenti multimediali, in particolar modo - solo per dirne una - la grande facilità di passaggio ‘in orizzontale’ da un contenuto ad un altro che si ottiene in tempi record cliccando su di un link, ha sì garantito una maggiore elasticità mentale nella gestione delle risorse, ma ha forse contribuito ad un certo ridimensionamento dei tempi e della capacità di concentrazione, indispensabili per una solida ‘discesa in verticale’ degli argomenti via via trattati. E’ ormai fuori discussione che ciò abbia influenzato in maniera massiccia gli stili di apprendimento degli adolescenti di oggi, ancor più che “nativi digitali”, addirittura concepiti digitali, per i quali pare che sia uno status symbol circolare con un apparecchio ipertecnologico in mano, perennemente in rete e dunque dappertutto, ma forse in nessun luogo veramente presenti a se stessi. Rapida ma inclemente rappresentazione dei fatti? Adulti non meno dei giovani? Certamente. Di sicuro, però, questo scenario non apparteneva a una generazione fa, a chi, come noi, per esempio, si è diplomato a metà degli anni Novanta e ha cominciato ad adoperare nella quotidianità il suo primo telefonino (di quelli tutti rigorosamente neri, enormi e con antenne che parevano parabole) qualche anno ancora dopo, peraltro senza alcuna connessione perenne alla rete. Ma mentre noi adulti - anche i più giovani - ci siamo avvicinati gradualmente a questo sistema, chi con più entusiasmo, chi ancora con sarcastica diffidenza, non senza motivo nostalgicamente legati a quanto di valido c’era nella gestione dei saperi della nostra generazione, oggi è evidente che i ragazzi sono già mentalmente predisposti ad un approccio diverso alla conoscenza, fatto di continue interazioni, riappropriazioni, anche protagonismo, scarsa predisposizione alla memorizzazione e alla gestione della quantità - probabilmente - ma in compenso una ben maggiore duttilità. Sono stati osservati e identificati, di conseguenza, stili cognitivi nuovi e diversi, prevalentemente di tipo globale e intuitivo, spesso visivo, quasi sempre collaborativo. Grazie al contributo della più recente psicopedagogia sono emersi con nettezza profili pedagogici, profili caratteriali e tendenze dinamiche dei nostri ragazzi fino a poco tempo fa impliciti, in base ai quali risulta chiaro che ciascuno possiede propri “gesti mentali”, ovvero stili di apprendimento personali sempre diversi in cui azionare procedure specifiche di gestione di ciò che si sta imparando.

Cambiamenti enormi, che si muovono finalmente nella direzione della personalizzazione e individualizzazione degli apprendimenti, che riteniamo, a questo punto, debbano essere doverosamente accompagnati da una riflessione più efficace sulla nostra pratica quotidiana di insegnanti. Certo è stato detto più volte, ma forse non abbastanza: come è possibile entrare in classe e pensare di riprodurre un format tradizionale e prevalentemente trasmissivo delle conoscenze, identico a quello su cui si è formata la nostra generazione? Per alcuni versi, ammettiamolo pure senza timori, è possibile considerare tale format perfino egregio in quel contesto, dal momento che, per dirla col sociologo francese Philippe Perrenoud, ci ha permesso di fare lunghi studi e di superare con successo esami e concorsi davvero mastodontici. E soprattutto troviamo, in linea con l’affermazione dello psicologo e pedagogista Howard Gardner, ripresa dalle docenti Carla Sclarandis e Cinzia Spingola nel volume Per una letteratura delle competenze del 2013, oltre che da Paolo Giovannetti nel suo La letteratura in cui viviamo del 2015, che quel tipo più tradizionale di approccio didattico a cui siamo stati abituati ribadisse con forza l’importanza dei valori disciplinari, ovvero dei contenuti, dai quali imprenscindibilmente partire per realizzare una buona didattica. Il punto è che oggi la consapevolezza della grande risorsa dei cosiddetti “valori disciplinari” non è più sufficiente da sola, come accadeva più facilmente quando a essere studenti eravamo noi, a “catturare” i nostri adolescenti, che abbiamo detto, preferiscono approcci più dinamici e al passo coi tempi, come si suole dire. E senza dubbio, anche quel tipo di didattica fortemente trasmissiva (per conoscenze) trascurava alquanto - ahimè - la lettura diretta dei testi con conseguente analisi (abilità) e capacità interpretativa (primo passo verso le competenze).

Detto ciò, alzi il dito chi non ha trascorso almeno una manciata di minuti a lasciarsi colmare dalla straordinaria potenza di parole, immagini o suoni incontrati durante il nostro lavoro, tentato dall’idea che sì, quella stessa emozione doveva essere trasmessa ad altri, forse faceva proprio al caso di quell’alunno, o forse di quell’altro... Occasioni da non perdere. O probabilmente, per molti, solo scommesse dall’esito incerto, data la forza prorompente della concorrenza: multimedia e social network in prima linea sempre in agguato per strappare livelli di attenzione già troppo labili, facile acquisizione di dati, ma scarsa abilità di rielaborazione dal punto di vista concettuale e difficoltà a scendere in profondità da parte di molti, anche se non tutti; tendenza all’estrema riduzione e semplificazione con uso di un linguaggio iconico e acronimico e, di conseguenza, scarsa padronanza di lessico astratto; modelli sociali affermati tra cui una tristemente dilagante e omologante tendenza a considerare desueta la cultura umanistica e in generale tutto il sapere cosiddetto astratto.

E dunque, ecco la sfida dell’insegnamento oggi: catturarli, questi adolescenti, per renderli domani cittadini formati e responsabili. Direi di più: avvincerli. Bello, quest’ultimo termine, la cui etimologia latina non ci rimanda all’idea di un vinto e di un vincitore, bensì al sentirsi legato, e a doppia mandata, alla possibilità che quelle parole e quei testi studiati a scuola possano “aprire mondi attraverso la potenza erotica della parola e del sapere che essa sa vivificare”, come dice Massimo Recalcati nella sua Ora di lezione 1. Interessante prospettiva: libri e parole che provengono dal passato capaci di accendere cuori e menti contro l’attualità del ‘bombardamento’ emotivo e mediatico della società (e conseguente stordimento, in buona parte dei casi), in cui si può svolgere un ruolo attivo solo se si crede fortemente in ciò che si fa e si dice, se noi docenti che entriamo in classe sappiamo anche con uno sguardo trasmettere credibilità ai nostri alunni, perché a crederci i primi siamo noi, ad amare questo bistrattatissimo mestiere siamo noi, che ci mettiamo quotidianamente la faccia, la mente e il cuore. Comunicare senza insicurezze il ‘gusto’ per quello che si fa - pur cercando di rimanere neutri nella trasmissione del sapere - è il primo scopo dell’insegnamento e, davvero, permette di ottenere tanti frutti. Perché un insegnante che non ‘investe’ tutta la sua persona poco interessa ai giovani, acutissimi nell’individuare con precisione chi rientra in questa categoria. Bisogna “svuotarsi” forse per ottenere questo, consapevoli di sottrarre tempo, salute e risorse a ciò che ci aspetta fuori dalla scuola. Ma ci si ricarica in tempi sufficientemente brevi grazie al feedback dei nostri ragazzi, alla restituzione, cioè, da parte loro, sotto svariatissime e sempre gradevoli forme, di quello che ricevono. Autentica, questa, approssimazione alla felicità sulla terra, come diceva Primo Levi nella sua Chiave a stella, capace da sola di creare vero benessere a scuola.

Quindi, la sfida è questa: prendere il buono del passato - che c’è - ed integrarlo e ridefinirlo sulla base delle nuove esigenze. Di fronte agli evidenti mutamenti della società e degli stili cognitivi dei ragazzi cui si accennava, di certo non sempre facili da guidare o anche solo gestire, esiste, tuttavia, una fetta considerevole di insegnanti che, come appena detto, non ha mai rinunciato a considerare la letteratura una fonte inesauribile e preziosissima di sollecitazioni per la costruzione lenta ma progressiva dell’identità di ciascun allievo. Interrogativi antichi e nondimeno sempre attuali, contenuti in moltissime delle più belle pagine di poeti e scrittori di tutti i tempi, con la loro portata travolgente e a tratti sconvolgente sappiamo che potrebbero costituire un’autentica risorsa emotiva specie in un’età come quella adolescenziale - così fragile e fortemente suscettibile -. Trovo perfettamente in linea con ciò il fulminante interrogativo d’apertura della prima traccia dell’esame di Stato 2016, con cui Umberto Eco pare chiedere a tutti noi - e non solo ai maturandi - a cosa serva questo bene immateriale che è la letteratura.  Ma in che senso “serve”? Eco è abbastanza chiaro quando afferma che non è sempre vincente, o anche solo possibile, pensare ogni volta ad una prospettiva “d’uso” negli apprendimenti, che spinga la didattica della letteratura a ‘fare i conti’ con i cosiddetti contesti reali. Su alcuni argomenti forse questo approccio può essere realizzato più facilmente, in alcuni indirizzi di studio o con altre discipline ancora di più (penso magari all’insegnamento delle lingue, come hanno ben dimostrato Giovanna Benetti e Mariarita Casellato nel loro Imparare per competenze del 2014). 

Se il termine competenza, nella sua formulazione originaria e più valida prevista dal Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) parla di “comprovata capacità di ‘utilizzare’ conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale”, non significa, però, che ci debba necessariamente essere una ricaduta pragmatica e utilitaristica di ogni forma di apprendimento. Competenza, come è stata pensata, non vuol dire, infatti, saper fare, ma saper agire nei vari contesti problematici e, dunque, saper essere. ‘Utilizzare’ l’opera per sollecitare attitudini e processi di comprensione, conoscenza, formulazione di ipotesi, riappropriazione, valutazione con effetti – perché no – anche etici ed emotivi che possono contribuire ed essere ‘riutilizzati’ - in questo senso sì - per creare la nostra personalità e “immagine del mondo”: attitudine spiccata al problem solving come principale competenza culturale da affinare e conservare per la vita. Su questo crediamo si debba continuare a riflettere e sperimentare in classe per dare forma in maniera più sicura e condivisa a questa nuova fase della didattica per competenze. Innovativa perché, come ben illustrato da Hermann Grosser, è maggiormente concentrata sul lettore e sui suoi processi di apprendimento, rispetto alla didattica tradizionale fondata piuttosto sull’autore, la cui ‘enciclopedia’ resta - lo ribadiamo – in assoluto fondamentale per costruirci sopra qualsivoglia proposta interpretativa che non corra il rischio di una poco solida deriva “spontaneistica”, e alla didattica fondata sull’opera e sull’abilità di interpretazione della stessa attraverso idonei strumenti di lavoro.
Dunque, tre approcci interessanti e fondamentali (conoscenze, abilità e competenze) che non possono assolutamente prescindere l’uno dall’altro per una formazione completa ed equilibrata della letteratura oggi. Dalle sperimentazioni sin qui condotte, emerge con chiarezza che tali aspetti andrebbero modulati e fusi con misura, calibrati con duttilità e sapienza sul capitale umano che ogni classe contiene di diverso da un’altra, evitando una rigida chiusura su inquadramenti solo teorici o troppo astratti e nozionistici, rifuggendo da eccessi tecnici nell’esercizio di un’analisi del testo fine a se stessa, ma anche dalla costruzione di percorsi in cui si privilegi nettamente solo il come (competenza) tralasciando abilità e soprattutto contenuti, considerati a torto “ancillari” di un apprendimento che, in nome di un certo modernismo, pretende di seminare conoscenze a prescindere da esse.

In questo senso è davvero fondamentale l’adesione al progetto sperimentale Compìta, che, grazie all’ADI e all’ADI-sd per la prima volta prevede fattivamente il contributo di noi docenti di scuola secondaria di secondo grado, troppo spesso passivi spettatori di progetti di riforma della didattica, della cui prassi siamo gli unici, ricordiamolo con orgoglio, ad avere piena contezza. In effetti la richiesta è semplice: formalizzare e socializzare il più possibile ogni forma di sperimentazione realizzata nel chiuso della propria classe (che di certo già avviene), aprire le porte alla condivisione per classi parallele e alla discussione nei Dipartimenti più di quanto già si faccia, per favorire importanti riflessioni e proposte operative.
Pronte, dunque, a metterci alla prova senza esclusione di colpi, sollecitate, in questo, dall’interessante incontro di formazione e aggiornamento sulla didattica per competenze, guidato nella nostra scuola dalla responsabile dell’ADI-sd sez. Puglia prof.ssa Rita Ceglie, abbiamo realizzato anche nel nostro Istituto (Liceo Classico, Scienze umane e Musicale “A. Casardi” di Barletta) la sperimentazione ‘sul campo’ prevista per la didattica della letteratura dal progetto nazionale Compìta, nella quale abbiamo testato ogni forma di approccio metodologico e pedagogico che facilitasse l’apprendimento significativo dei contenuti trattati, valutandone criticamente virtù e aspetti da potenziare. Non una lezione una tantum o una mezz’ora di novità didattica, ma un ribaltamento effettivo della classica lezione frontale, della durata di otto ore, per verificare di persona quanto fossero efficaci altri approcci insegnativi per realizzare una effettiva didattica per competenze; alcuni, come detto in precedenza, già praticati, ma più che altro a macchia di leopardo.

Ci domandiamo, però, se sarebbe meglio parlare da subito di approcci apprenditivi. Perché, per intenderci sulla reale portata dell’innovazione nella didattica per competenze, non ci sembra mai abbastanza ribadire che il fulcro del cambiamento risiede in questo sottile ma densissimo scambio di parole. Che gioco non è, affatto. La nostra esperienza ci ha fatto comprendere una realtà fin troppo evidente, già sottolineata in precedenza, ma forse non ancora metabolizzata in pieno dal corpo insegnante, chiaramente “a suo agio” in una scuola concentrata sulla trasmissione verticalistica delle conoscenze. Per realizzare un proficuo ‘incontro’ tra questa realtà e le attitudini dei ragazzi, la classe andrebbe piuttosto ribaltata (flipped classroom), senza per questo arrivare a farlo letteralmente. Certo, anche esperienze di lezioni realizzate in cattedra dai ragazzi possono configurarsi come momenti che contribuiscono a vivificare il livello di attenzione e la partecipazione emotiva in chi ascolta, ma per ‘classe ribaltata’ abbiamo inteso altro: la centralità del discente, con l’individuazione dei suoi peculiari “centri di interesse” e conseguenti stili di apprendimento per garantire l’innalzamento dei livelli di motivazione e il protagonismo dei ragazzi stessi circa i propri processi di apprendimento, che li spinga a superare quel mancato impegno e disinteresse in cui molti di loro purtroppo si trascinano. In una parola: strategie per realizzare “effetti soggettivi” in chi apprende, come direbbe M. Recalcati, convinti che davvero impetuosi sarebbero gli slanci degli allievi verso le cose “più alte” se solo qualcuno li esortasse e li “infiammasse”. Cosa che, e siamo solo all’inizio, ha richiesto un lavoro aggiuntivo non da poco - a casa e in classe - nella nostra pratica didattica quotidiana di insegnanti.
Se non si parte da qui, però, programmare per competenze, ahimè, rischia di rimanere un titolo in grassetto da apporre in alto nella nostra programmazione di inizio anno o, nel migliore dei casi, il comando di un esercizio (o forse si dovrebbe piuttosto dire compito, come chiarito da Graziella Pozzo nel suo intervento Costruire competenze a scuola del 2014) in cui si richiede di applicare sterilmente una conoscenza già acquisita. A ben vedere, invece, si tratta di un interessante cambio di prospettiva della pratica didattica quotidiana, in cui partire da una cosiddetta situazione problematica e “mettere in moto”, attraverso un ventaglio davvero ampio di approcci e metodologie didattico-pedagogiche, atteggiamenti, conoscenze, capacità operative e controllo dei processi: in poche parole, il saper agire - come già si è detto - dei nostri ragazzi. Un metodo di lavoro che, acquisito e riutilizzato ogni volta che serve in nuovi contesti di studio o di lavoro, si può davvero definire anche come saper essere, ovvero come bagaglio per il futuro. Cosa che definisce in pieno il concetto di competenza quale cultura che investe la totalità della vita, favorendone una visione ampia e prospettica.
L’UDA realizzata in due quarte, liceo classico e liceo musicale, per classi parallele (aspetto, questo, da non sottovalutare nella didattica per competenze, per condividere veramente e sin da subito punti di forza e di debolezza nella ricerca-azione, oltre che per plasmarne l’autoefficacia) ha avuto come tema la riflessione attraverso i secoli sull’uomo sospeso tra follia e saggezza. La scelta stessa dell’argomento è stata oggetto di sperimentazione, nel senso che è emersa attraverso un’azione mirata di brainstormig sui “centri di interesse” più diffusi tra i ragazzi (uno dei cosiddetti “quattro punti focali” dell’osservazione pedagogica insieme a zona di sviluppo prossimale, profilo pedagogico e profilo caratteriale). Per questa fase è stata impiegata circa mezz’ora della prima lezione. Grazie all’utilizzo di “parole generatrici d’interesse” – come direbbe il pedagogista brasiliano Paulo Freire – e al dialogo accompagnato da un’attenta osservazione pedagogica, è stata favorita la discussione finalizzata ad individuare un tema vivo, che più di altri sarebbe stato “generatore di interesse” e avrebbe suscitato una presa di coscienza nella classe. I ragazzi hanno collaborato attivamente, divisi in focus group, e da subito con una buona dose di creatività per confrontare le idee e scoprire soluzioni di percorsi originali connessi ai saperi già in possesso o alle esperienze personali anche extrascolastiche. La funzione dell’insegnante è stata quella di mediare in maniera attenta per la costruzione del confronto tra i ragazzi, modulando punti di forza e di debolezza, senza particolari forzature, ma sollecitando le menti a ‘ripescare’ saperi che si ritenevano dimenticati e a farli riaffiorare se ritenuti opportuni. L’esperienza condotta ci ha reso consapevoli del fatto che - nonostante possa sembrare vero il contrario - il ruolo del docente nella didattica per competenze resta importantissimo. E’ vero che centrali sono i discenti e i loro apprendimenti; è anche vero che una metodologia vincente della didattica per competenze – da noi sperimentata con successo – è lo scaffolfing, modulato in modelling e fading ovvero “dissolvenza” dell’insegnante, che rende via via autonomo l’allievo, spingendolo a ‘riutilizzare’ con autonomia e accresciuta autostima quanto appreso; ma in questo delicatissimo quanto entusiasmante processo è altrettanto prezioso il nostro ruolo quando riusciamo a parlare alle menti e ai cuori dei ragazzi, per spingerli ad amare il proprio sforzo di apprendimento come forma di realizzazione personale, provvedendo a renderlo condiviso e ricercato il più possibile. 

All’insegnante oggi si chiede, infatti, non solo di saper raggiungere mete fissate da altri, ma soprattutto di saper provvedere alla crescita umana e relazionale di ciascun singolo alunno come del gruppo classe nel suo insieme, affinché sia pronto agli impegni assunti e a quelli che verranno via via individuati, ritenuti possibili e raggiunti, ricercando costantemente (ma silenziosamente) spazi di crescita dei propri ragazzi attraverso coinvolgimento, motivazione e voglia di realizzarsi. In una società di sicuro meno docile rispetto a qualche tempo fa e in una didattica che favorisce coscientemente il protagonismo dell’allievo, chi guida la classe deve farlo con altrettanta coscienza di sé e del proprio ruolo, misurando con sapienza mezzi, tempi, eccessi, risorse e debolezze di vario tipo, allontanando ogni forma di automatismi e di superficialità. Non poca cosa, certo. Ma è proprio la natura di questo mestiere a non equivalere a quella di un qualsiasi altro impiego. Bisogna crederci, però, per trasmettere noi stessi amore per il sapere: questo sì, veramente “utile” alla vita, come dice M. Recalcati.

Dopo la fase di produzione e confronto delle idee così realizzata, i ragazzi stessi hanno liberamente scelto il percorso per loro più completo e interessante. Già a questo punto, effettivamente, il risultato di un buon coinvolgimento emotivo era raggiunto. Tale atteggiamento positivo di protagonismo nell’apprendimento ha reso possibile a noi docenti fornire sollecitazioni importanti in corso d’opera. Certo, la naturale riflessione che ne scaturisce è che non sempre è possibile ‘scendere a patti’ con tutti i ragazzi o almeno con una buona parte di essi prima di affrontare un percorso modulare, soprattutto per problemi di tempo, specie se consideriamo il recente ridimensionato del quadro orario in pressocché tutte le discipline. Realizzare una didattica efficace nella quale si punta, praticamente, al triplo rispetto al passato, in un numero tuttavia ridotto di ore, in cui, cioè, non si trascurino le conoscenze - partendo dalla storicizzazione dell’opera e dell’autore, per esempio -, si perfezionino le abilità - attraverso il centrale esercizio di analisi del testo - e non da ultimo si contribuisca all’affinamento delle competenze mediante problem solving, è un reale problema che merita delle riflessioni importanti. Forse, però, su tale aspetto si potrebbe intervenire in qualche modo, favorendo una riconsiderazione del “canone” di autori e opere dai quali ci sentiamo tutti catturati. Ma questo è un altro punto nodale che richiederebbe tempi e spazi opportuni di discussione, dal momento che implicherebbe una reimpostazione della maggior parte dei libri di testo al momento in adozione in tutte le scuole.

Servendosi degli strumenti multimediali a disposizione, i ragazzi hanno poi proposto di distinguere il percorso in due parti: autori che hanno sperimentato nel proprio vissuto il labile confine tra lucidità e follia, e altri che hanno, invece, realizzato magistrali proiezioni letterarie del tema. Nel primo filone hanno individuato subito la “folle” esperienza di Francesco d’Assisi che, studiato più canonicamente l’anno prima con inquadramento storico-letterario e linguistico del “Cantico delle creature”, è stato riproposto attraverso l’analisi di passi scelti della Vita prima di Tommaso da Celano, in cui si descrive e commenta il ‘folle’ gesto della spoliazione di sé del ‘poverello’, passi diacronicamente messi poi in relazione con l’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam nelle pagine che commentano tale esperienza. Lungo questo filone è stata approfondita anche l’esperienza di Torquato Tasso, autore più vivo nella memoria dei ragazzi in quanto oggetto di studio ad inizio anno, di cui, ancora una volta è stato selezionato un testo poco noto - e, soprattutto, praticamente mai antologizzato -, del suo epistolario dall’Ospedale di Sant’Anna, attraverso la cui attenta analisi del testo (abilità) e individuazione e confronti di parole-chiave (esercizio di competenze) care alla poetica dell’autore, i ragazzi hanno colto e ricostruito un aspetto della sua ispirazione poetica meno frequentato (conoscenze). L’apertura multidisciplinare alla legislazione sulle case di cura per malati mentali (così come ad altre esperienze mutuate dai percorsi di storia dell’arte e storia della musica) è stata naturalmente consequenziale e ha favorito attualizzazioni significative sulle leggi del XX secolo, da quella del governo Gentile alla più recente legge Basaglia, con relativa lettura e comprensione dei testi originali (nonché riflessione sul lessico specifico utilizzato) e produzione di testi argomentativi sul tema, ‘doppissimi’ in quanto a contenuti di tesi e antitesi. Il passo verso il Novecento a noi più vicino è stato realizzato attraverso un’ampia lettura e contestualizzazione di poesie di Amelia Rosselli e Alda Merini, cosa che ha spinto alcuni ragazzi alla scrittura creativa di brevi ma intense esperienze liriche, anche autobiografiche, che difficilmente avrebbero trovato un proprio canale di espressione a scuola. L’esperienza sin qui condotta, ha dimostrato vincente l’approccio diacronico agli argomenti trattati (non estemporaneo o per rapide citazioni, ma effettivo, con tanto di lettura, analisi, comprensione e riappropriazione dei contenuti); è quello, poi, che più naturalmente spinge i ragazzi a comprendere che temi anche classici durano per sempre e sono vivi ancora oggi; riflessione che può favorire un valido apprendimento per competenze.

L’altro filone dell’UDA è stato sviluppato attraverso la lettura comparata di grandi personaggi letterari che hanno sviluppato il tema dell’uomo in bilico tra saggezza e follia: l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, la cui opera già ampiamente letta ed analizzata in corso d’anno è stata messa in relazione nel finale col Castello dei destini incrociati di Italo Calvino, e ha sollecitato, così, nei ragazzi chiavi di interpretazione sempre nuove e attualissime; il Don Chisciotte di M. de Cervantes, letto in traduzione, e l’Amleto di W. Shakespeare letto invece in lingua originale sono stati analizzati e interpretati innanzitutto nel rispetto dell’ideologia dell’autore - onde evitare derive “spontaneistiche” -, ma, attraverso l’azione mirata dell’insegnante, hanno spinto contestualmente a processi cognitivi dinamici di confronto di dati, elaborazione di ipotesi interpretative, verifica delle stesse tramite elaborazione di tesi validamente argomentabili sulla base delle fonti consultate con rigore. In questa seconda fase di sperimentazione il contributo multidisciplinare è stato determinante, nel senso che si è tentato di leggere i testi o le opere nelle rispettive ore di lezione delle diverse discipline coinvolte, condividendone i risultati, formalizzandoli e socializzandoli con gli altri docenti. Anche in questo caso, il risultato sull’apprendimento è stato sconvolgente: i ragazzi non hanno assunto più solo il ruolo di ascoltatori, ma sono diventati attivi, hanno agito con competenza usando conoscenze e abilità già in possesso. Diventando protagonisti di quanto appreso, abbiamo visto accendersi i loro cuori: e si sa che il passo successivo è che dopo i cuori ad accendersi siano le menti.
Al di fuori delle otto ore sono state effettuate le verifiche in cui si sono applicati i quattro descrittori sperimentali del progetto Compìta: conoscenza, comprensione, riappropriazione e valutazione. Le ultime due voci sono quelle maggiormente caratterizzanti l’apprendimento per competenze, a cui si è cercato di assegnare una rilevanza più ampia rispetto ad altre griglie precedentemente adoperate, pur nell’ardua operazione di valutare docimologicamente un’attitudine al saper agire quale la competenza in effetti è.
Di seguito si riporta sinteticamente lo schema dell’UDA così come è stata svolta:

MODULO TEMATICO svolto tra MARZO e MAGGIO (progetto COMPITA)

Unità Didattica di Apprendimento: L’UOMO TRA GENIALITA’ E FOLLIA


CONTENUTI
TESTI
METODOLOGIE
STRATEGIA DI CONTROLLO IN SITUAZIONE
-L’uomo e la donna tra lucidità e follia attraverso i secoli: distinzione tra proiezioni letterarie del tema e autobiografie.
-La comune visione da parte dell’immaginario collettivo
- Attualizzazione e sensibilizzazione su temi di cittadinanza: dalla legge del governo Giolitti del 1904 alla legge Basaglia del 1978.


Tommaso da Celano: Vita prima, cap. VI paragr. 343-344-345.
Erasmo da Rotterdam: Elogio della Follia, pp. 33-34.
Torquato Tasso, Prose, lettera a Girolamo Mercuriale.
Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII, 100-136.
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati (passi scelti)
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte: la follia dell’hidalgo; l’avventura dei mulini a vento.
William Shakespeare, Amleto, IV, scena V.
Amelia Rosselli, lettere e poesie scelte.
Alda Merini, poesie scelte
Interdisciplinarietà  Storia dell’arte: lettura dell’opera Camera da letto ad Arles di V. Van Gogh.
Storia della musica: il Duello tra Tancredi e Clorinda di C. Monteverdi.
·   Lettura espressiva ad alta voce
·   Cooperative learning
·   Peer education
·   Brainstorming
·   Problem solving
·   Scaffolding (modelling e fadding)
·   Flipped classroom
·   Centralità del testo

·   Centralità del lettore

·   Uso di una pluralità di strumenti tra cui prevalentemente quello digitale.
-Produzioni di mappe concettuali (in formato cartaceo o digitale) da illustrare oralmente in un tempo stabilito (da 10 a 20 minuti)
- Comprensione orale e cooperativa
- Domande guida
- Analisi del testo poetico o in prosa (orale e/o scritta)



VERIFICA orale
OBIETTIVI DELLA VERIFICA dei quattro indicatori sperimentali della competenza letteraria così come proposti dall’ADI-sd:
-        Conoscenza, comprensione, riappropriazione e valutazione dei testi scelti.
CONOSCENZA
Allo studente è  stato chiesto di:
a.    Riconoscere il significato delle parole;
b.   Riconoscere la struttura logica del periodo;
c.    Riconoscere la  forma metrica e le figure retoriche in rapporto al significato complessivo del testo;
d.   Individuare tema, azioni, ambiente del testo
e.    Collocare il testo nel tempo.

COMPRENSIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a.    individuare le parole chiave;
b.   riconoscere lo scarto del significato nell’uso delle parole nel testo e nella lingua corrente (storia della lingua);
c.    riconoscere i significati denotativi/ connotativi del testo;
d.   riassumere il testo in funzione della sua comprensione globale;
e.    riconoscere le principali figure retoriche funzionali al significato del testo;
f.    analizzare gli aspetti formali in rapporto al suo significato complessivo.
g.   cogliere il rapporto tra tema e epoca storica.

RIAPPROPRIAZIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a. cogliere il rapporto  tra il testo e testi di autori coevi all’autore e appartenenti ad altre epoche aventi lo stesso tema;
b. rilevare analogie e differenze fra il testo e le altre manifestazioni artistiche aventi lo stesso tema (storia dell’arte e della musica);
c. confronto interculturale fra testi della letteratura mondiale.

VALUTAZIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a.    giudicare quanto il testo lo interessi e lo coinvolga;
b.   motivare, in forma scritta/orale il proprio giudizio sugli aspetti formali, strutturali e contenutistici di un testo;
c.     valutare il testo in relazione al contesto storico-culturale di produzione e alla sua influenza/permanenza/discontinuità rispetto alla tradizione.