FUORI
CANONE
ANTIDOTO
ALLA MALINCONIA NELLA SCUOLA
Quando
abbiamo deciso di lasciare una qualche traccia delle nostre esperienze e
riflessioni sul percorso sperimentale compiuto all’interno del progetto
Compìta, ci è parso fin troppo scontato parlare di didattica per competenze partendo
da qualche riflessione sui radicali cambiamenti in atto nella società da poco
più di un decennio ad oggi - anno più anno meno -.
Però, a ben vedere, tutto è
cominciato proprio da lì. Su cause e processi della cosiddetta “rivoluzione
multimediale” sono stati versati da illustri sociologi e psicologi fiumi di
parole, ai quali non possiamo che rimandare con umiltà e ammirazione. Ma la
‘staffetta’, diciamo così, è poi passata subito - attraverso l’ineludibile
passaggio della famiglia - alla scuola e, nello specifico, a chi la scuola la
vive, la “sente” e la “fa” con orgoglio quotidianamente. L’approccio alla
conoscenza garantito dai diversi strumenti multimediali, in particolar modo -
solo per dirne una - la grande facilità di passaggio ‘in orizzontale’ da un
contenuto ad un altro che si ottiene in tempi record cliccando su di un link,
ha sì garantito una maggiore elasticità mentale nella gestione delle risorse,
ma ha forse contribuito ad un certo ridimensionamento dei tempi e della
capacità di concentrazione, indispensabili per una solida ‘discesa in
verticale’ degli argomenti via via trattati. E’ ormai fuori discussione che ciò
abbia influenzato in maniera massiccia gli stili di apprendimento degli
adolescenti di oggi, ancor più che “nativi digitali”, addirittura concepiti digitali, per i quali pare che
sia uno status symbol circolare con
un apparecchio ipertecnologico in mano, perennemente in rete e dunque
dappertutto, ma forse in nessun luogo veramente presenti a se stessi. Rapida ma
inclemente rappresentazione dei fatti? Adulti non meno dei giovani? Certamente.
Di sicuro, però, questo scenario non apparteneva a una generazione fa, a chi,
come noi, per esempio, si è diplomato a metà degli anni Novanta e ha cominciato
ad adoperare nella quotidianità il suo primo telefonino (di quelli tutti
rigorosamente neri, enormi e con antenne che parevano parabole) qualche anno
ancora dopo, peraltro senza alcuna connessione perenne alla rete. Ma mentre noi
adulti - anche i più giovani - ci siamo avvicinati gradualmente a questo sistema,
chi con più entusiasmo, chi ancora con sarcastica diffidenza, non senza motivo
nostalgicamente legati a quanto di valido c’era nella gestione dei saperi della
nostra generazione, oggi è evidente che i ragazzi sono già mentalmente
predisposti ad un approccio diverso alla conoscenza, fatto di continue
interazioni, riappropriazioni, anche protagonismo, scarsa predisposizione alla
memorizzazione e alla gestione della quantità - probabilmente - ma in compenso
una ben maggiore duttilità. Sono stati osservati e identificati, di
conseguenza, stili cognitivi nuovi e diversi, prevalentemente di tipo globale e
intuitivo, spesso visivo, quasi sempre collaborativo. Grazie al contributo
della più recente psicopedagogia sono emersi con nettezza profili pedagogici, profili
caratteriali e tendenze dinamiche dei nostri ragazzi fino a poco tempo fa
impliciti, in base ai quali risulta chiaro che ciascuno possiede propri “gesti
mentali”, ovvero stili di apprendimento personali sempre diversi in cui
azionare procedure specifiche di gestione di ciò che si sta imparando.
Cambiamenti enormi, che si
muovono finalmente nella direzione della personalizzazione e
individualizzazione degli apprendimenti, che riteniamo, a questo punto, debbano
essere doverosamente accompagnati da una riflessione più efficace sulla nostra
pratica quotidiana di insegnanti. Certo è stato detto più volte, ma forse non
abbastanza: come è possibile entrare in classe e pensare di riprodurre un
format tradizionale e prevalentemente trasmissivo delle conoscenze, identico a
quello su cui si è formata la nostra generazione? Per alcuni versi,
ammettiamolo pure senza timori, è possibile considerare tale format perfino
egregio in quel contesto, dal momento che, per dirla col sociologo francese
Philippe Perrenoud, ci ha permesso di fare lunghi studi e di superare con
successo esami e concorsi davvero mastodontici. E soprattutto troviamo, in
linea con l’affermazione dello psicologo e pedagogista Howard Gardner, ripresa
dalle docenti Carla Sclarandis e Cinzia Spingola nel volume Per una letteratura delle competenze del
2013, oltre che da Paolo Giovannetti nel suo La letteratura in cui viviamo del 2015, che quel tipo più
tradizionale di approccio didattico a cui siamo stati abituati ribadisse con
forza l’importanza dei valori
disciplinari, ovvero dei contenuti, dai quali imprenscindibilmente partire
per realizzare una buona didattica. Il punto è che oggi la consapevolezza della
grande risorsa dei cosiddetti “valori disciplinari” non è più sufficiente da
sola, come accadeva più facilmente quando a essere studenti eravamo noi, a
“catturare” i nostri adolescenti, che abbiamo detto, preferiscono approcci più
dinamici e al passo coi tempi, come si suole dire. E senza dubbio, anche quel
tipo di didattica fortemente trasmissiva (per conoscenze) trascurava alquanto -
ahimè - la lettura diretta dei testi con conseguente analisi (abilità) e
capacità interpretativa (primo passo verso le competenze).
Detto ciò, alzi il dito chi non
ha trascorso almeno una manciata di minuti a lasciarsi colmare dalla
straordinaria potenza di parole, immagini o suoni incontrati durante il nostro
lavoro, tentato dall’idea che sì, quella stessa emozione doveva essere
trasmessa ad altri, forse faceva proprio al caso di quell’alunno, o forse di
quell’altro... Occasioni da non perdere. O probabilmente, per molti, solo
scommesse dall’esito incerto, data la forza prorompente della concorrenza:
multimedia e social network in prima linea sempre in agguato per strappare
livelli di attenzione già troppo labili, facile acquisizione di dati, ma scarsa
abilità di rielaborazione dal punto di vista concettuale e difficoltà a
scendere in profondità da parte di molti, anche se non tutti; tendenza
all’estrema riduzione e semplificazione con uso di un linguaggio iconico e acronimico
e, di conseguenza, scarsa padronanza di lessico astratto; modelli sociali
affermati tra cui una tristemente dilagante e omologante tendenza a considerare
desueta la cultura umanistica e in generale tutto il sapere cosiddetto
astratto.
E dunque, ecco la sfida
dell’insegnamento oggi: catturarli, questi adolescenti, per renderli domani
cittadini formati e responsabili. Direi di più: avvincerli. Bello, quest’ultimo termine, la cui etimologia latina
non ci rimanda all’idea di un vinto e di un vincitore, bensì al sentirsi
legato, e a doppia mandata, alla possibilità che quelle parole e quei testi
studiati a scuola possano “aprire mondi attraverso la potenza erotica della
parola e del sapere che essa sa vivificare”, come dice Massimo Recalcati nella
sua Ora di lezione 1. Interessante prospettiva: libri e parole
che provengono dal passato capaci di accendere cuori e menti contro l’attualità
del ‘bombardamento’ emotivo e mediatico della società (e conseguente
stordimento, in buona parte dei casi), in cui si può svolgere un ruolo attivo
solo se si crede fortemente in ciò che si fa e si dice, se noi docenti che
entriamo in classe sappiamo anche con uno sguardo trasmettere credibilità ai
nostri alunni, perché a crederci i primi siamo noi, ad amare questo bistrattatissimo
mestiere siamo noi, che ci mettiamo quotidianamente la faccia, la mente e il
cuore. Comunicare senza insicurezze il ‘gusto’ per quello che si fa - pur
cercando di rimanere neutri nella trasmissione del sapere - è il primo scopo
dell’insegnamento e, davvero, permette di ottenere tanti frutti. Perché un
insegnante che non ‘investe’ tutta la sua persona poco interessa ai giovani,
acutissimi nell’individuare con precisione chi rientra in questa categoria.
Bisogna “svuotarsi” forse per ottenere questo, consapevoli di sottrarre tempo,
salute e risorse a ciò che ci aspetta fuori dalla scuola. Ma ci si ricarica in
tempi sufficientemente brevi grazie al feedback
dei nostri ragazzi, alla restituzione, cioè, da parte loro, sotto
svariatissime e sempre gradevoli forme, di quello che ricevono. Autentica,
questa, approssimazione alla felicità sulla terra, come diceva Primo Levi nella
sua Chiave a stella, capace da sola
di creare vero benessere a scuola.
Quindi, la sfida è questa:
prendere il buono del passato - che c’è - ed integrarlo e ridefinirlo sulla
base delle nuove esigenze. Di fronte agli evidenti mutamenti della società e
degli stili cognitivi dei ragazzi cui si accennava, di certo non sempre facili
da guidare o anche solo gestire, esiste, tuttavia, una fetta considerevole di
insegnanti che, come appena detto, non ha mai rinunciato a considerare la
letteratura una fonte inesauribile e preziosissima di sollecitazioni per la
costruzione lenta ma progressiva dell’identità di ciascun allievo.
Interrogativi antichi e nondimeno sempre attuali, contenuti in moltissime delle
più belle pagine di poeti e scrittori di tutti i tempi, con la loro portata
travolgente e a tratti sconvolgente sappiamo che potrebbero costituire
un’autentica risorsa emotiva specie in un’età come quella adolescenziale - così
fragile e fortemente suscettibile -. Trovo perfettamente in linea con ciò il
fulminante interrogativo d’apertura della prima traccia dell’esame di Stato
2016, con cui Umberto Eco pare chiedere a tutti noi - e non solo ai maturandi -
a cosa serva questo bene immateriale che
è la letteratura. Ma in che senso
“serve”? Eco è abbastanza chiaro quando afferma che non è sempre vincente, o
anche solo possibile, pensare ogni volta ad una prospettiva “d’uso” negli
apprendimenti, che spinga la didattica della letteratura a ‘fare i conti’ con i
cosiddetti contesti reali. Su alcuni argomenti forse questo approccio può
essere realizzato più facilmente, in alcuni indirizzi di studio o con altre
discipline ancora di più (penso magari all’insegnamento delle lingue, come
hanno ben dimostrato Giovanna Benetti e Mariarita Casellato nel loro Imparare per competenze del 2014).
Se il
termine competenza, nella sua
formulazione originaria e più valida prevista dal Quadro europeo delle
qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) parla di “comprovata capacità
di ‘utilizzare’ conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o
metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale e personale”, non significa, però, che ci debba necessariamente
essere una ricaduta pragmatica e utilitaristica di ogni forma di apprendimento.
Competenza, come è stata pensata, non vuol dire, infatti, saper fare, ma saper agire nei vari contesti
problematici e, dunque, saper essere.
‘Utilizzare’ l’opera per sollecitare attitudini e processi di comprensione,
conoscenza, formulazione di ipotesi, riappropriazione, valutazione con effetti
– perché no – anche etici ed emotivi che possono contribuire ed essere
‘riutilizzati’ - in questo senso sì - per creare la nostra personalità e
“immagine del mondo”: attitudine spiccata al problem solving come principale competenza culturale da affinare e
conservare per la vita. Su questo crediamo si debba continuare a riflettere e
sperimentare in classe per dare forma in maniera più sicura e condivisa a
questa nuova fase della didattica per competenze. Innovativa perché, come ben
illustrato da Hermann Grosser, è maggiormente concentrata sul lettore e sui suoi processi di apprendimento, rispetto alla
didattica tradizionale fondata piuttosto sull’autore,
la cui ‘enciclopedia’ resta - lo ribadiamo – in assoluto fondamentale per
costruirci sopra qualsivoglia proposta interpretativa che non corra il rischio
di una poco solida deriva “spontaneistica”, e alla didattica fondata sull’opera e sull’abilità di
interpretazione della stessa attraverso idonei strumenti di lavoro.
Dunque, tre approcci
interessanti e fondamentali (conoscenze, abilità e competenze) che non possono
assolutamente prescindere l’uno dall’altro per una formazione completa ed
equilibrata della letteratura oggi. Dalle sperimentazioni sin qui condotte,
emerge con chiarezza che tali aspetti andrebbero modulati e fusi con misura,
calibrati con duttilità e sapienza sul capitale umano che ogni classe contiene
di diverso da un’altra, evitando una rigida chiusura su inquadramenti solo
teorici o troppo astratti e nozionistici, rifuggendo da eccessi tecnici
nell’esercizio di un’analisi del testo fine
a se stessa, ma anche dalla costruzione di percorsi in cui si privilegi nettamente
solo il come (competenza)
tralasciando abilità e soprattutto contenuti, considerati a torto “ancillari”
di un apprendimento che, in nome di un certo modernismo, pretende di seminare
conoscenze a prescindere da esse.
In questo senso è davvero
fondamentale l’adesione al progetto sperimentale Compìta, che, grazie all’ADI e
all’ADI-sd per la prima volta prevede fattivamente il contributo di noi docenti
di scuola secondaria di secondo grado, troppo spesso passivi spettatori di
progetti di riforma della didattica, della cui prassi siamo gli unici,
ricordiamolo con orgoglio, ad avere piena contezza. In effetti la richiesta è
semplice: formalizzare e socializzare il più possibile ogni forma di
sperimentazione realizzata nel chiuso della propria classe (che di certo già
avviene), aprire le porte alla condivisione per classi parallele e alla
discussione nei Dipartimenti più di quanto già si faccia, per favorire
importanti riflessioni e proposte operative.
Pronte, dunque, a metterci alla
prova senza esclusione di colpi, sollecitate, in questo, dall’interessante
incontro di formazione e aggiornamento sulla didattica per competenze, guidato
nella nostra scuola dalla responsabile dell’ADI-sd sez. Puglia prof.ssa Rita
Ceglie, abbiamo realizzato anche nel nostro Istituto (Liceo Classico, Scienze
umane e Musicale “A. Casardi” di Barletta) la sperimentazione ‘sul campo’
prevista per la didattica della letteratura dal progetto nazionale Compìta,
nella quale abbiamo testato ogni forma di approccio metodologico e pedagogico
che facilitasse l’apprendimento significativo dei contenuti trattati,
valutandone criticamente virtù e aspetti da potenziare. Non una lezione una tantum o una mezz’ora di novità
didattica, ma un ribaltamento effettivo della classica lezione frontale, della
durata di otto ore, per verificare di persona quanto fossero efficaci altri
approcci insegnativi per realizzare una effettiva didattica per competenze;
alcuni, come detto in precedenza, già praticati, ma più che altro a macchia di
leopardo.
Ci domandiamo, però, se sarebbe
meglio parlare da subito di approcci apprenditivi.
Perché, per intenderci sulla reale portata dell’innovazione nella didattica per
competenze, non ci sembra mai abbastanza ribadire che il fulcro del cambiamento
risiede in questo sottile ma densissimo scambio di parole. Che gioco non è,
affatto. La nostra esperienza ci ha fatto comprendere una realtà fin troppo
evidente, già sottolineata in precedenza, ma forse non ancora metabolizzata in
pieno dal corpo insegnante, chiaramente “a suo agio” in una scuola concentrata
sulla trasmissione verticalistica delle conoscenze. Per realizzare un proficuo
‘incontro’ tra questa realtà e le attitudini dei ragazzi, la classe andrebbe
piuttosto ribaltata (flipped classroom),
senza per questo arrivare a farlo letteralmente. Certo, anche esperienze di
lezioni realizzate in cattedra dai ragazzi possono configurarsi come momenti
che contribuiscono a vivificare il livello di attenzione e la partecipazione
emotiva in chi ascolta, ma per ‘classe ribaltata’ abbiamo inteso altro: la
centralità del discente, con l’individuazione dei suoi peculiari “centri di
interesse” e conseguenti stili di apprendimento per garantire l’innalzamento
dei livelli di motivazione e il protagonismo dei ragazzi stessi circa i propri
processi di apprendimento, che li spinga a superare quel mancato impegno e
disinteresse in cui molti di loro purtroppo si trascinano. In una parola:
strategie per realizzare “effetti soggettivi” in chi apprende, come direbbe M.
Recalcati, convinti che davvero impetuosi sarebbero gli slanci degli allievi
verso le cose “più alte” se solo qualcuno li esortasse e li “infiammasse”. Cosa
che, e siamo solo all’inizio, ha richiesto un lavoro aggiuntivo non da poco - a
casa e in classe - nella nostra pratica didattica quotidiana di insegnanti.
Se non si parte da qui, però,
programmare per competenze, ahimè, rischia di rimanere un titolo in grassetto
da apporre in alto nella nostra programmazione di inizio anno o, nel migliore
dei casi, il comando di un esercizio (o forse si dovrebbe piuttosto dire compito, come chiarito da Graziella
Pozzo nel suo intervento Costruire
competenze a scuola del 2014) in cui si richiede di applicare sterilmente
una conoscenza già acquisita. A ben vedere, invece, si tratta di un
interessante cambio di prospettiva della pratica didattica quotidiana, in cui
partire da una cosiddetta situazione problematica e “mettere in moto”,
attraverso un ventaglio davvero ampio di approcci e metodologie
didattico-pedagogiche, atteggiamenti, conoscenze, capacità operative e
controllo dei processi: in poche parole, il saper
agire - come già si è detto - dei nostri ragazzi. Un metodo di lavoro che,
acquisito e riutilizzato ogni volta che serve in nuovi contesti di studio o di
lavoro, si può davvero definire anche come saper
essere, ovvero come bagaglio per il futuro. Cosa che definisce in pieno il
concetto di competenza quale cultura che investe la totalità della vita,
favorendone una visione ampia e prospettica.
L’UDA realizzata in due quarte,
liceo classico e liceo musicale, per classi parallele (aspetto, questo, da non
sottovalutare nella didattica per competenze, per condividere veramente e sin
da subito punti di forza e di debolezza nella ricerca-azione, oltre che per
plasmarne l’autoefficacia) ha avuto come tema la riflessione attraverso i
secoli sull’uomo sospeso tra follia e saggezza. La scelta stessa dell’argomento
è stata oggetto di sperimentazione, nel senso che è emersa attraverso un’azione
mirata di brainstormig sui “centri di interesse” più diffusi tra i
ragazzi (uno dei cosiddetti “quattro punti focali” dell’osservazione pedagogica
insieme a zona di sviluppo prossimale, profilo pedagogico e profilo
caratteriale). Per questa fase è stata impiegata circa mezz’ora della prima
lezione. Grazie all’utilizzo di “parole generatrici d’interesse” – come direbbe
il pedagogista brasiliano Paulo Freire – e al dialogo accompagnato da
un’attenta osservazione pedagogica, è stata favorita la discussione finalizzata
ad individuare un tema vivo, che più di altri sarebbe stato “generatore di
interesse” e avrebbe suscitato una presa di coscienza nella classe. I ragazzi
hanno collaborato attivamente, divisi in focus
group, e da subito con una buona dose di creatività per confrontare le idee
e scoprire soluzioni di percorsi originali connessi ai saperi già in possesso o
alle esperienze personali anche extrascolastiche. La funzione dell’insegnante è
stata quella di mediare in maniera attenta per la costruzione del confronto tra
i ragazzi, modulando punti di forza e di debolezza, senza particolari
forzature, ma sollecitando le menti a ‘ripescare’ saperi che si ritenevano
dimenticati e a farli riaffiorare se ritenuti opportuni. L’esperienza condotta
ci ha reso consapevoli del fatto che - nonostante possa sembrare vero il
contrario - il ruolo del docente nella didattica per competenze resta
importantissimo. E’ vero che centrali sono i discenti e i loro apprendimenti; è
anche vero che una metodologia vincente della didattica per competenze – da noi
sperimentata con successo – è lo scaffolfing, modulato in modelling e fading ovvero
“dissolvenza” dell’insegnante, che rende via via autonomo l’allievo,
spingendolo a ‘riutilizzare’ con autonomia e accresciuta autostima quanto
appreso; ma in questo delicatissimo quanto entusiasmante processo è altrettanto
prezioso il nostro ruolo quando riusciamo a parlare alle menti e ai cuori dei
ragazzi, per spingerli ad amare il proprio sforzo di apprendimento come forma
di realizzazione personale, provvedendo a renderlo condiviso e ricercato il più
possibile.
All’insegnante oggi si chiede, infatti, non solo di saper
raggiungere mete fissate da altri, ma soprattutto di saper provvedere alla
crescita umana e relazionale di ciascun singolo alunno come del gruppo classe nel
suo insieme, affinché sia pronto agli impegni assunti e a quelli che verranno
via via individuati, ritenuti possibili e raggiunti, ricercando costantemente
(ma silenziosamente) spazi di crescita dei propri ragazzi attraverso
coinvolgimento, motivazione e voglia di realizzarsi. In una società di sicuro
meno docile rispetto a qualche tempo fa e in una didattica che favorisce
coscientemente il protagonismo dell’allievo, chi guida la classe deve farlo con
altrettanta coscienza di sé e del proprio ruolo, misurando con sapienza mezzi,
tempi, eccessi, risorse e debolezze di vario tipo, allontanando ogni forma di
automatismi e di superficialità. Non poca cosa, certo. Ma è proprio la natura
di questo mestiere a non equivalere a quella di un qualsiasi altro impiego. Bisogna
crederci, però, per trasmettere noi stessi amore
per il sapere: questo sì, veramente “utile” alla vita, come dice M.
Recalcati.
Dopo la fase di produzione e
confronto delle idee così realizzata, i ragazzi stessi hanno liberamente scelto
il percorso per loro più completo e interessante. Già a questo punto,
effettivamente, il risultato di un buon coinvolgimento emotivo era raggiunto.
Tale atteggiamento positivo di protagonismo nell’apprendimento ha reso
possibile a noi docenti fornire sollecitazioni importanti in corso d’opera.
Certo, la naturale riflessione che ne scaturisce è che non sempre è possibile
‘scendere a patti’ con tutti i ragazzi o almeno con una buona parte di essi
prima di affrontare un percorso modulare, soprattutto per problemi di tempo,
specie se consideriamo il recente ridimensionato del quadro orario in
pressocché tutte le discipline. Realizzare una didattica efficace nella quale
si punta, praticamente, al triplo rispetto al passato, in un numero tuttavia
ridotto di ore, in cui, cioè, non si trascurino le conoscenze - partendo dalla
storicizzazione dell’opera e dell’autore, per esempio -, si perfezionino le
abilità - attraverso il centrale esercizio di analisi del testo - e non da
ultimo si contribuisca all’affinamento delle competenze mediante problem solving, è un reale problema che
merita delle riflessioni importanti. Forse, però, su tale aspetto si potrebbe
intervenire in qualche modo, favorendo una riconsiderazione del “canone” di
autori e opere dai quali ci sentiamo tutti catturati. Ma questo è un altro
punto nodale che richiederebbe tempi e spazi opportuni di discussione, dal
momento che implicherebbe una reimpostazione della maggior parte dei libri di
testo al momento in adozione in tutte le scuole.
Servendosi degli strumenti multimediali
a disposizione, i ragazzi hanno poi proposto di distinguere il percorso in due
parti: autori che hanno sperimentato nel proprio vissuto il labile confine tra
lucidità e follia, e altri che hanno, invece, realizzato magistrali proiezioni
letterarie del tema. Nel primo filone hanno individuato subito la “folle”
esperienza di Francesco d’Assisi che, studiato più canonicamente l’anno prima
con inquadramento storico-letterario e linguistico del “Cantico delle
creature”, è stato riproposto attraverso l’analisi di passi scelti della Vita prima di Tommaso da Celano, in cui
si descrive e commenta il ‘folle’ gesto della spoliazione di sé del
‘poverello’, passi diacronicamente messi poi in relazione con l’Elogio della Follia di Erasmo da
Rotterdam nelle pagine che commentano tale esperienza. Lungo questo filone è
stata approfondita anche l’esperienza di Torquato Tasso, autore più vivo nella
memoria dei ragazzi in quanto oggetto di studio ad inizio anno, di cui, ancora
una volta è stato selezionato un testo poco noto - e, soprattutto, praticamente
mai antologizzato -, del suo epistolario dall’Ospedale di Sant’Anna, attraverso
la cui attenta analisi del testo (abilità) e individuazione e confronti di
parole-chiave (esercizio di competenze) care alla poetica dell’autore, i
ragazzi hanno colto e ricostruito un aspetto della sua ispirazione poetica meno
frequentato (conoscenze). L’apertura multidisciplinare alla legislazione sulle
case di cura per malati mentali (così come ad altre esperienze mutuate dai
percorsi di storia dell’arte e storia della musica) è stata naturalmente
consequenziale e ha favorito attualizzazioni significative sulle leggi del XX
secolo, da quella del governo Gentile alla più recente legge Basaglia, con
relativa lettura e comprensione dei testi originali (nonché riflessione sul
lessico specifico utilizzato) e produzione di testi argomentativi sul tema,
‘doppissimi’ in quanto a contenuti di tesi e antitesi. Il passo verso il
Novecento a noi più vicino è stato realizzato attraverso un’ampia lettura e
contestualizzazione di poesie di Amelia Rosselli e Alda Merini, cosa che ha
spinto alcuni ragazzi alla scrittura creativa di brevi ma intense esperienze
liriche, anche autobiografiche, che difficilmente avrebbero trovato un proprio
canale di espressione a scuola. L’esperienza sin qui condotta, ha dimostrato
vincente l’approccio diacronico agli argomenti trattati (non estemporaneo o per
rapide citazioni, ma effettivo, con tanto di lettura, analisi, comprensione e
riappropriazione dei contenuti); è quello, poi, che più naturalmente spinge i
ragazzi a comprendere che temi anche classici durano per sempre e sono vivi
ancora oggi; riflessione che può favorire un valido apprendimento per
competenze.
L’altro filone dell’UDA è stato
sviluppato attraverso la lettura comparata di grandi personaggi letterari che
hanno sviluppato il tema dell’uomo in bilico tra saggezza e follia: l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, la
cui opera già ampiamente letta ed analizzata in corso d’anno è stata messa in
relazione nel finale col Castello dei
destini incrociati di Italo Calvino, e ha sollecitato, così, nei ragazzi
chiavi di interpretazione sempre nuove e attualissime; il Don Chisciotte di M. de Cervantes, letto in traduzione, e l’Amleto di W. Shakespeare letto invece in
lingua originale sono stati analizzati e interpretati innanzitutto nel rispetto
dell’ideologia dell’autore - onde evitare derive “spontaneistiche” -, ma,
attraverso l’azione mirata dell’insegnante, hanno spinto contestualmente a
processi cognitivi dinamici di confronto di dati, elaborazione di ipotesi
interpretative, verifica delle stesse tramite elaborazione di tesi validamente
argomentabili sulla base delle fonti consultate con rigore. In questa seconda
fase di sperimentazione il contributo multidisciplinare è stato determinante,
nel senso che si è tentato di leggere i testi o le opere nelle rispettive ore
di lezione delle diverse discipline coinvolte, condividendone i risultati,
formalizzandoli e socializzandoli con gli altri docenti. Anche in questo caso,
il risultato sull’apprendimento è stato sconvolgente: i ragazzi non hanno assunto
più solo il ruolo di ascoltatori, ma sono diventati attivi, hanno agito con competenza usando conoscenze e
abilità già in possesso. Diventando protagonisti di quanto appreso, abbiamo
visto accendersi i loro cuori: e si sa che il passo successivo è che dopo i
cuori ad accendersi siano le menti.
Al di fuori delle otto ore sono
state effettuate le verifiche in cui si sono applicati i quattro descrittori
sperimentali del progetto Compìta: conoscenza, comprensione, riappropriazione e
valutazione. Le ultime due voci sono quelle maggiormente caratterizzanti
l’apprendimento per competenze, a cui si è cercato di assegnare una rilevanza
più ampia rispetto ad altre griglie precedentemente adoperate, pur nell’ardua
operazione di valutare docimologicamente un’attitudine al saper agire quale la competenza in effetti è.
Di seguito si riporta sinteticamente lo schema dell’UDA così
come è stata svolta:
MODULO
TEMATICO svolto tra MARZO e MAGGIO (progetto COMPITA)
Unità Didattica di Apprendimento: L’UOMO TRA
GENIALITA’ E FOLLIA
|
CONTENUTI
|
TESTI
|
METODOLOGIE
|
STRATEGIA
DI CONTROLLO IN SITUAZIONE
|
-L’uomo
e la donna tra lucidità e follia attraverso i secoli: distinzione tra
proiezioni letterarie del tema e autobiografie.
-La
comune visione da parte dell’immaginario collettivo
-
Attualizzazione e sensibilizzazione su
temi di cittadinanza: dalla legge del governo Giolitti del 1904 alla
legge Basaglia del 1978.
|
Tommaso da Celano: Vita prima, cap. VI paragr.
343-344-345.
Erasmo da Rotterdam: Elogio della Follia, pp. 33-34.
Torquato Tasso, Prose, lettera a Girolamo Mercuriale.
Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII, 100-136.
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati
(passi scelti)
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte: la follia
dell’hidalgo; l’avventura dei mulini a vento.
William Shakespeare, Amleto, IV, scena V.
Amelia Rosselli, lettere e
poesie scelte.
Alda Merini, poesie scelte
Interdisciplinarietà Storia dell’arte: lettura dell’opera Camera da letto ad Arles di V. Van
Gogh.
Storia della musica: il Duello tra Tancredi e Clorinda di C.
Monteverdi.
|
· Lettura
espressiva ad alta voce
· Cooperative learning
· Peer education
· Brainstorming
· Problem solving
· Scaffolding (modelling e fadding)
· Flipped classroom
·
Centralità del testo
·
Centralità del lettore
·
Uso di una pluralità di strumenti tra cui prevalentemente
quello digitale.
|
-Produzioni
di mappe concettuali (in formato cartaceo o digitale) da illustrare oralmente
in un tempo stabilito (da 10 a 20 minuti)
-
Comprensione orale e cooperativa
-
Domande guida
-
Analisi del testo poetico o in prosa (orale e/o scritta)
|
VERIFICA orale
|
OBIETTIVI DELLA VERIFICA dei quattro
indicatori sperimentali della competenza letteraria così come proposti
dall’ADI-sd:
|
||
-
Conoscenza, comprensione,
riappropriazione e valutazione dei testi scelti.
|
CONOSCENZA
Allo studente è
stato chiesto di:
a.
Riconoscere il
significato delle parole;
b.
Riconoscere la
struttura logica del periodo;
c.
Riconoscere
la forma metrica e le figure retoriche
in rapporto al significato complessivo del testo;
d.
Individuare tema, azioni,
ambiente del testo
e.
Collocare il testo nel tempo.
COMPRENSIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a.
individuare le
parole chiave;
b.
riconoscere lo
scarto del significato nell’uso delle parole nel testo e nella lingua
corrente (storia della lingua);
c.
riconoscere i
significati denotativi/ connotativi del testo;
d.
riassumere il
testo in funzione della sua comprensione globale;
e.
riconoscere le
principali figure retoriche funzionali al significato del testo;
f.
analizzare gli
aspetti formali in rapporto al suo significato complessivo.
g.
cogliere il
rapporto tra tema e epoca storica.
RIAPPROPRIAZIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a.
cogliere il rapporto tra il testo e
testi di autori coevi all’autore e appartenenti ad altre epoche aventi lo
stesso tema;
b.
rilevare analogie e differenze fra il testo e le altre manifestazioni
artistiche aventi lo stesso tema (storia dell’arte e della musica);
c.
confronto interculturale fra testi della letteratura mondiale.
VALUTAZIONE
Allo studente è stato chiesto di:
a.
giudicare quanto il testo lo
interessi e lo coinvolga;
b.
motivare, in forma scritta/orale
il proprio giudizio sugli aspetti formali, strutturali e contenutistici di un
testo;
c.
valutare il testo in relazione al contesto
storico-culturale di produzione e alla sua influenza/permanenza/discontinuità
rispetto alla tradizione.
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